UREA

Anche questo parametro, non  compreso tra quelli obbligatori, per il pagamento del latte in base alla qualità, viene però sempre più richiesto in quanto rappresenta uno degli indicatori più diretti e pratici per la valutazione delle condizioni nutrizionali delle bovine; il valore in urea consente infatti di valutare la adeguatezza dell’apporto proteico della razione e soprattutto il corretto rapporto tra energia e proteine della razione in rapporto alla quantità di latte prodotto, nelle diverse fasi della curva produttiva delle mandrie ed ancor di più delle singole bovine.
Il tenore di urea può inoltre essere utilizzato per stimare quanta parte del titolo proteico del latte potrebbe derivare da eccessi di azoto non proteico (ureico) o da proteine collegate a processi infiammatori (quindi non caseiniche).
Alcuni caseifici hanno anche sperimentato sistemi di pagamento che prevedono interventi riduttivi sugli eventuali premi per il titolo proteico, in caso di eccessi ureici.
Il problema è comunque oggi meglio affrontabile con il ricorso alla determinazione delle caseine (congiunto o sostitutivo) che elimina l’eventuale conseguenza di eccessi in azoto non proteico.


 
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Anche per l’urea vale quanto accennato per gli altri parametri non obbligatori; la valutazione dei valori medi degli ultimi anni risente, almeno in parte, del fatto che la base di allevamenti su cui si determina il dato non è costante negli anni.
Di conseguenza mentre si può affermare che il valore medio sia rappresentativo del latte lombardo, non è possibile trarre indicazioni certe sui cambiamenti e le evoluzioni che si possono essere verificati nel corso degli anni di osservazione.
A ciò si aggiunge il fatto che a formare i valori medi mensili ed annuali concorre una quota di allevamenti di montagna , di piccole dimensioni, in cui questo parametro presenta degli ambiti di variabilità enormi ricollegabili sia alla fase di pascolo che ai cambiamenti alimentari nelle stalle a stabulazione ( rispetto almeno al latte standard osservabili in allevamenti di maggiori dimensioni) . Tra i fattori di variabilità dobbiamo obbligatoriamente ricordare anche la minor precisione che il metodo di screening utilizzato presenta proprio nei casi di campioni con composizioni particolarmente divergenti da quelle standard.


 
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Per gli stessi motivi non è facile interpretare l’andamento stagionale di questo parametro che invece a livello di singolo allevamento bene esprime gli effetti dei cambiamenti alimentari e nutrizionali conseguenti sia alle variazioni climatiche che di gestione aziendale.
Degno di nota comunque il fatto che negli ultimi 2 anni la dinamica del parametro ha ripreso un andamento più classico rispetto almeno al 2017 che aveva presentato un incremento decisamente controtendenza nel secondo semestre ( probabilmente collegabili a specifiche condizioni climatiche).

In generale, il maggior livello produttivo delle bovine induce un incremento delle riserve con conseguente effetto sul tasso di urea nel latte; tale equilibrio è però strettamente correlato con l’apporto alimentare sia in termini del tipo di base proteica, che di energia complessiva che indirizzano le vie metaboliche, ruminali, intestinali e mammarie in una direzione o in un’altra. Da ciò discende che la determinazione routinaria dell’Urea nel latte di massa, eseguita nel nostro caso sui campioni del pagamento qualità, costituisce un valido indicatore di monitoraggio nel tempo di eventuali cambiamenti in corso nell’allevamento. Per valutazioni di maggior precisione ed in articolare per le valutazioni indotte da modifiche della razione è però sempre consigliabile ricorrere a determinazioni specifiche e più specialistiche con metodiche di riferimento in grado di garantire un maggior livello di precisione ed accuratezza del dato e, ancora, a campionamenti ripetuti per più giorni.