La paratubercolosi è una malattia infettiva e contagiosa che colpisce in particolare i ruminanti domestici e selvatici.
Studiata e descritta per la prima volta nel 1895 da Johne e Frothingham, è nota anche come malattia di Johne (Johne’s Disease).
Il ruolo eziologico di Mycobaterium avium subs. paratuberculosis (MAP) fu definito con certezza nel 1912, quando Twort e Ingram riuscirono a coltivare l’agente eziologico in laboratorio.
Negli ultimi anni l’attenzione verso questa malattia è andata progressivamente aumentando, a causa della sempre maggiore diffusione nell’allevamento bovino, ovicaprino e negli animali selvatici, nonché a causa del possibile ruolo patogeno di MAP per l’uomo.
DIFFUSIONE
Come indicano numerose indagini su vasta scala condotte nei Paesi a maggiore vocazione zootecnica, la malattia è oggi diffusa in tutto il mondo.
In Italia sono state effettuate alcune indagini epidemiologiche in Veneto, in Lombardia, nel Lazio, in Umbria e in Emilia-Romagna, da cui risulta una prevalenza di allevamenti bovini infetti superiore al 50%. Essendo la malattia a lenta diffusione ed i test di laboratorio poco sensibili, la prevalenza di animali positivi è più limitata (<5% nei vari studi pubblicati sul territorio italiano relativi al patrimonio bovino).
Relativamente alla diffusione nell’allevamento ovi-caprino, non esistono dati precisi relativi al nostro Paese. I dati pubblicati, seppur limitati, riportano una prevalenza di aziende infette analoga a quella dell’allevamento bovino. I dati disponibili fanno comunque presumere che anche negli ovi-caprini la diffusione dell’infezione nel nostro paese sia elevata, anche se spesso sottovalutata perché difficilmente riconosciuta e diagnosticata.
CARATTERISTICHE DEL MICRORGANISMO
Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis è dotato di elevata resistenza nell’ambiente, dove può sopravvivere per periodi prolungati: 163 giorni nelle acque di fiume, 270 giorni nelle acque stagnanti, 11 mesi nelle feci bovine e nel suolo.
In condizioni sperimentali, è stato dimostrato che la sopravvivenza di MAP nei liquami bovini è di 98 giorni a 15°C, ma può raggiungere 252 giorni a 5 °C.
MAP non si moltiplica nell’ambiente, ma solo all’interno delle specie animali recettive, dove trova un habitat favorevole all’interno dei macrofagi.
EPIDEMIOLOGIA
La paratubercolosi colpisce primariamente i ruminanti domestici e selvatici.
Altre specie animali non ruminanti sono recettive all’infezione naturale e sperimentale, ed in alcuni casi possono manifestare i sintomi della malattia. Mentre il ruolo epidemiologico dei ruminanti selvatici è dimostrato, altrettanto non si può dire per le specie animali non ruminanti (fatta eccezione per il coniglio selvatico), non essendo ancora completamente chiarita la loro capacità di diffondere MAP nell’ambiente in dosi infettanti.
La via più comune di introduzione dell’infezione in allevamento è l’acquisto di animali infetti.
Un fattore di rischio per l’introduzione della malattia è la condivisione di pascoli con animali di allevamenti di stato sanitario sconosciuto e ruminanti selvatici.
Essendo l’infezione localizzata elettivamente a livello intestinale, il materiale infettante di importanza primaria è rappresentato dalle feci. Gli animali infetti possono eliminare con le feci, in maniera continua o intermittente, notevoli quantità di micobatteri (fino a 10 miliardi/g di feci).
Nelle fasi avanzate di infezione, MAP diffonde a vari organi ed apparati e può essere presente in altri liquidi biologici come il latte, il seme e l’espettorato.
La recettività all’infezione è massima negli animali giovani e diminuisce con l’aumentare dell’età; generalmente i sintomi di malattia si manifestano nei soggetti infettatisi da giovani con elevate quantità di MAP.
L’infezione si realizza principalmente per via fecale – orale attraverso l’ingestione di alimenti ed acqua contaminati. Il latte e il colostro possono essere contaminati per via endogena ed esogena, attraverso la suzione da mammelle imbrattate da feci infette. La probabilità di contaminazione del colostro e del latte è maggiore nei soggetti con malattia clinicamente manifesta rispetto ai soggetti con infezione subclinica.
Analogamente l’infezione per via congenita è dimostrata nel 20-40% dei soggetti nati da madre con malattia clinicamente manifesta e nel 10-20% dei soggetti nati da madri con infezione subclinica.
Accanto al contatto maggiormente a rischio (adulto-giovane), bisogna sottolineare che la trasmissione dell’infezione è stata dimostrata anche attraverso contatti giovane-giovane e adulto-adulto, anche se questi casi rappresentano un rischio minore.
Studi recenti hanno inoltre dimostrato la possibilità di infezione aerogena in ambiente altamente contaminato.
L’inadeguatezza strutturale delle mangiatoie, degli abbeveratoi e la conseguente mancata protezione dalla contaminazione fecale, così come la pratica della fertirrigazione possono rappresentare fattori di rischio per la diffusione dell’infezione.
MANIFESTAZIONI CLINICHE E DANNI ECONOMICI
Nel bovino il periodo di incubazione della malattia varia da 2 a 15 anni (più frequentemente 3-5 anni). I sintomi iniziali compaiono generalmente in prossimità del parto e sono spesso aspecifici: diminuzione dell’incremento ponderale, pelo ruvido e opaco, cute secca e anelastica, diminuzione della produzione lattea, ipofertilità, anemia, febbre intermittente, edema intermandibolare.
In seguito compare la diarrea, talora molto profusa, cronica o intermittente, con periodi di remissione di settimane o mesi; in questa fase l’appetito è conservato.
Negli stadi terminali si ha anoressia, depressione del sensorio, grave e progressivo scadimento delle condizioni generali, fino alla morte.
Negli ovi-caprini la malattia compare generalmente in animali di oltre 1-2 anni di età.
I sintomi iniziali sono sovrapponibili a quelli del bovino: perdita di peso con appetito conservato, scadenti condizioni generali, diminuzione della consistenza fecale, riduzione del movimento (animali che rimangono in coda al gruppo) emaciazione, pelo ruvido e opaco, diminuzione della produzione lattea, edema intermandibolare. La diarrea, sintomo patognomonico della malattia nel bovino, compare solo nel 10-20% degli animali infetti in fase terminali.
L’effetto negativo della paratubercolosi sulla produzione lattea è ben documentato: la maggior parte degli studi riporta un calo di produzione del 15-20% negli animali colpiti da forma clinica, e del 5-10% in quelle con infezione subclinica.
Il calo di fertilità e le perdite dovute alla macellazione precoce degli animali colpiti da forma clinica o positivi ai test vanno inoltre inclusi nei danni economici.
Non sono da sottovalutare anche i danni che potrebbero derivare dalla limitazione del commercio degli animali infetti o degli animali provenienti da allevamenti o aree infette, anche alla luce del recente inserimento della paratubercolosi nella lista delle malattie previste dalla EU Animal Health Law, per le quali è possibile prevedere una attività di sorveglianza.
DIAGNOSI
Uno degli ostacoli maggiori al controllo della Paratubercolosi è rappresentato dalla difficoltà di una diagnosi certa d’infezione, legata principalmente alla scarsa sensibilità dei test diagnostici.
Diagnosi diretta.
L’esame colturale delle feci è storicamente il test considerato più accurato, in quanto, pur presentando una sensibilità limitata (40-50%), dimostra una specificità assoluta (assenza di false positività), se si escludono i fenomeni di possibile transito passivo in allevamenti ad elevata biocontaminazione.
Gli svantaggi della coltura sono rappresentati dal lungo tempo di attesa per la risposta (le colture richiedono almeno 16 settimane di incubazione), i possibili inquinamenti che ne inficiano il risultato, ma soprattutto i costi elevati.
Le tecniche di biologia molecolare (PCR) consentono di confermare i casi clinici in tempi rapidi, senza aspettare i lunghi tempi necessari per la crescita del batterio in coltura. A fronte di una sensibilità paragonabile a quella della coltura, la PCR presenta costi troppo elevati per l’utilizzo su vasta scala nell’ambito di piani di controllo.
Diagnosi indiretta. Il test indiretto attualmente più utilizzato nell’ambito dei piani di controllo e monitoraggio, principalmente per il suo costo limitato, è il test ELISA.
La sensibilità del test ELISA in allevamento infetto varia in funzione dello stadio di infezione, dal 15% (fasi iniziali asintomatiche con eliminazione fecale scarsa) all’85-90% (sintomatologia clinica in atto con eliminazione fecale molto elevata).
La specificità riportata è molto elevata (98-99%). E’ comunque opportuno evitare il test sierologico nei 3 mesi successivi al test della tubercolina bovina, che potrebbe causare false positività.
Il test di immunodiffusione in gel di agar (AGID), di semplice e rapida esecuzione, a fronte di una specificità ottima, presenta una bassa sensibilità, inferiore al test ELISA nelle fasi precliniche; per questo motivo se ne consiglia l’applicazione solo in animali con sintomatologia clinica in atto.
Viene ancora utilizzato negli ovicaprini e nei selvatici, in parallelo al test ELISA.
I test di valutazione dell’immunità cellulo-mediata (skin test e test del gamma-interferon), pur manifestando una buona sensibilità, dimostrano scarsa specificità a causa delle possibili reazioni crociate con Micobatteri ambientali. Il vantaggio di questi test è la precocità di risposta e dunque la capacità di svelare l’esposizione a MAP degli animali giovani; al contrario, dato che gli animali che reagiscono in modo più efficace sono in grado di contenere l’infezione, si è osservata una scarsa correlazione della positività con la progressione dell’infezione.
E’ da ricordare inoltre che l’infezione da MAP può essere causa di reazione para-allergica alla prova tubercolinica ed interferire quindi con i piani di eradicazione della tubercolosi bovina. In questi casi, data l’appartenenza di MAP alla specie Mycobacterium avium, la prova comparativa (con tubercolina aviare o Johnin) è di valido aiuto nella diagnosi differenziale.
CONTROLLO ED ERADICAZIONE NEGLI ALLEVAMENTI INFETTI
L’acquisto di animali infetti è quasi sempre il mezzo di introduzione dell’infezione in allevamento; a tal proposito bisogna sottolineare che i vari test diagnostici a disposizione, se applicati sul singolo capo oggetto di compravendita, non ci danno in nessun caso la certezza che il soggetto negativo sia sano; per questo motivo è sempre opportuno che le garanzie riguardino l’intero allevamento di provenienza dell’animale.
Questo concetto è alla base delle “Linee Guida nazionali per il controllo della paratubercolosi negli allevamenti bovini e per l’assegnazione della qualifica sanitaria agli allevamenti bovini“.
Pur non essendo ufficialmente estese all’allevamento ovi-caprino, i concetti espressi nelle linee guida per il bovino sono applicabili anche all’allevamento ovi-caprino.
Premesso che non esiste una terapia in grado di eliminare l’infezione, le strategie di controllo in allevamento infetto si basano sull’adozione contemporanea di misure tendenti a:
- eliminare i soggetti infetti, in particolare quelli con alta escrezione fecale di MAP ed eventualmente la loro prole;
- proteggere gli animali giovani dall’infezione.
Le misure di protezione dei giovani mirano ad evitare il contatto diretto o indiretto con le feci potenzialmente infette degli adulti. A tale scopo si raccomanda il precoce isolamento della madre, l’alimentazione con colostro di animali negativi, l’allevamento in gruppi omogenei di età fino all’età adulta, la protezione delle mangiatoie e degli abbeveratoi dalla contaminazione fecale.
Negli animali da carne, risultando inapplicabile la separazione del neonato dalla madre, è consigliabile l’allevamento separato dei capi positivi, con la relativa prole, da quelli negativi ai test.
I test diagnostici per la rilevazione dei capi infetti possono essere applicati in associazione (test sierologico e PCR/coltura fecale) per aumentare la sensibilità della rilevazione. La periodicità dei controlli da eseguire sugli animali è in funzione della prevalenza dell’infezione in allevamento, oltre che degli obbiettivi e delle risorse dell’allevatore.
La strategia vaccinale, secondo un recente sondaggio esteso a 48 paesi nel mondo, è applicata in meno di un terzo dei Paesi partecipanti. Al momento non esistono vaccini registrati in Italia.
Il meccanismo d’azione del vaccino non è ben conosciuto; si pensa che la vaccinazione modifichi i processi immunopatologici che portano all’infiammazione cronica progressiva dell’intestino, responsabile della forma clinica. Di conseguenza, l’utilizzo della vaccinazione, pur non essendo in grado né di prevenire l’infezione, né di curarla, fa sì che i soggetti vaccinati siano in grado di arrestare la progressione dell’infezione e delle conseguenti lesioni intestinali, riducendo l’incidenza di casi clinici conclamati, e ritardandone l’insorgenza, con conseguenti benefici economici per l’allevatore. E’ stato inoltre riportato un effetto del vaccino nel ridurre l’escrezione di Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis da parte dei soggetti infetti, con conseguente riduzione della biocontaminazione ambientale e della diffusione dell’infezione all’interno dell’allevamento.
Nonostante la vaccinazione rappresenti un possibile approccio al problema, in particolare negli ovi-caprini, limitatamente ai greggi dove la prevalenza di infezione e di casi clinici è elevata, è necessario sottolineare che:
- il vaccino interferisce con la reazione della tubercolina bovina. Per tale motivo in Italia il suo utilizzo è esplicitamente vietato negli allevamenti bovini e bufalini (art.21, punto 4 del DM 592 del 15.12.1995). In caso di compresenza con le specie precedenti, anche la specie caprina deve essere sottoposta a controllo (All II Reg CE 1662/2006), e di conseguente il divieto deve intendersi esteso in questo caso anche a questa specie;
- la sensibilizzazione ai test sierologici per la paratubercolosi, che divengono così inapplicabili sul soggetto vaccinato; gli unici metodi diagnostici utilizzabili rimangono quelli di diagnosi diretta (coltura fecale e PCR), molto più costosi dei test sierologici;
- la possibilità di lesioni al punto di inoculo che possono necessitare la toelettatura della carcassa al macello;
- la patogenicità del vaccino per l’uomo in caso di inoculazione accidentale, per la cui prevenzione è necessaria l’adozione di idonee misure di sicurezza (strumenti di inoculo ad hoc, corretto contenimento degli animali, rimozione sicura degli aghi).
E’ almeno un secolo che si discute, a livello scientifico, su un possibile ruolo zoonotico di MAP nel Morbo di Crohn, viste le apparenti similitudini dei sintomi e delle lesioni.
MAP è stato sospettato inoltre di essere l’agente causale di altre patologie, come il Diabete tipo 1, La Sclerosi Multipla, la tiroidite di Hashimoto e la Sarcoidosi.
Un recente parere EFSA (2016/429) ribadisce che, nonostante non esistano elementi tali da confermare un ruolo zoonotico di MAP, dall’altra parte non ci sono elementi in grado di escluderlo definitivamente.
L’esposizione dell’uomo è dovuta principalmente alla contaminazione della catena alimentare. Sebbene tra gli alimenti imputati siano annoverati i vegetali e l’acqua contaminati, le fonti di esposizione più accreditate rimangono gli alimenti di origine animale, in particolare latte e derivati e carni, in cui numerosi studi hanno evidenziato la presenza di MAP in forma vitale. A questo proposito, diverse pubblicazioni hanno dimostrato che la temperatura di pasteurizzazione (72°C per 15″) è in grado di abbattere la concentrazione iniziale di MAP di almeno 4 logaritmi. La probabilità di sopravvivenza alla pastorizzazione è quindi funzione della carica contaminante iniziale di MAP.